Per chi mastica un po’ di filosofia il tempo è una delle dinamiche che più vengono affrontate.

Lungi da me fare un excursus storico sul come il tempo sia stato e venga vissuto nelle diverse culture, non ne ho i mezzi e le conoscenze.

Stante questo, il concetto di linearità mi ha sempre affascinato. Accumuliamo ore, giorni, come se in qualche modo ne fossimo padroni. Il segnare una tacca ci dona l’illusione di aver posseduto qualcosa. Ci protendiamo all’infinito con frasi arroganti ritenendo che dire per sempre possa essere una panacea per il male del momento, quando invece dovremmo buttarci veramente nel fiume del momento.

Ci sono ore che contano più di anni, secondi che sono capaci di stravolgere vite. Possiamo ritenere di avere capito tutto, fino a quando nel giro di cinque secondi uno sguardo, una mano sfiorata annulla tutto. Una chiamata nel momento giusto, un’offerta di lavoro.

Senza scomodare nessun padre della saggezza, posso solamente dire che non possiamo che vivere nel presente. Il futuro è il presente di domani, e il domani giungerà nel momento in cui deve giungere, cioè domani. Il passato è il presente di ieri, e oggi ieri non esiste più. Certo tanti passati insieme creano la storia, ma nella nostra ottusità pensiamo che i minuti siano accumulabili come il denaro, che abbiano un valore nella loro assolutezza.

Quando invece è la relatività che conta: auguro a tutti di provare quei quindici secondi che valgono quindici lustri. E forse potremmo smettere di sentirci padroni di qualcosa se non di noi stessi e del lasso di tempo che ci viene concesso.

Decio