Quanto si deve odiare una persona per iniziare una giornata mandando a fare in culo il prossimo?
Credo che nel comportamento di un essere umano nei mezzi pubblici si possa riassumere l’intera attitudine ad una vita. Ti svegli, sei in ritardo, corri, e la trovi occupata. Provi ad entrare, non c’è spazio, aspetti quella dopo, ti prendi quattro insulti da gente frustrata e ti metti in attesa, sperando che ci sia un posticino per te.
Mi chiedo quanto debba essere sbagliato il mondo dei valori dell’Occidente per cui si possa giustificare di passare una vita di merda, insultando il prossimo, non alzandosi per donne incinta o anziani, non rispettando quelle basiche regole di convivenza.
Una serie di piccole cose per rendere migliore la vita di tutti.
E ci si nasconde dietro alla scusa “ieri è stata una brutta giornata, oggi sono teso, il capo/il lavoro/la moglie/l’amante/l’università” e altre diecimila stronzate che ci raccontiamo, mettendoci e ponendoci obiettivi irraggiungibili e frustrandoci quando la realtà ci ricorda che siamo, alla fine, solo un’altra persona nella massa.
A Milano ho passato un anno e mezzo della mia vita a piangere nei mezzi pubblici.
Non una persona che mi abbia mai chiesto come stavo, cosa avevo. Nulla.
Tutti troppo ciechi nei loro problemi per andare oltre.
Se fai un sorriso a una ragazza tra un po’ vieni denunciato, se sorridi ad un bambino invece parte la postale che non fai neanche in tempo a dire “ho un tatuaggio di Iron-Man per quello la maglietta mi faceva sorridere”.
Viviamo in un mondo diffidente, in una società in cui se provi a parlare con qualcuno è per chiedere soldi.
Non so quanti di noi si chiedano che viaggio vogliono fare quei ragazzi e ragazze, ormai spesso anche più giovani di me, che ci chiedono quei cinquanta centesimi. Spesso mi ritrovo a domandarmi se per loro il viaggio che stiano per fare non sia l’ultimo, e allora mi fermo e quei cinquanta centesimi non escono dalle mie tasche. E li vedi, come un piccolo esercito, che ogni giorno si fanno le loro linee, in mezzo alla gente. Allora provi a guardare quella stessa gente che li giudica e li giudichi un po’ tu, chiedendoti se quel cellulare e le chiamate di lavoro alle 7:30 o alle 21:30 non siano anche esse una droga per sentirci un po’ vivi.
Io sono la gente in metro.
Io che ogni tanto mi innervosisco con le famiglie coi loro passeggini, con gli anziani che ti cascano addosso, con chi sta sulla sinistra nelle scale della metro (STAI A DESTRA CRETINO), io che divento antipatico e mi chiudo al mondo con le mie cuffie.
Il punto è iniziare una piccola rivoluzione, ogni giorno. Non dico dispendiare sorrisi, abbracci, lezioni di vita o altro, ma, semplicemente, tornare pian piano a essere un po’ più umani.
Per non essere più “gente in Metro”.
Decio